Nikos Afianès e l’isola di Ikarìa

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l nome dell’isola deriva dal celebre mito di Icaro che, secondo la leggenda, qui precipitò in volo dopo essersi avvicinato troppo al sole, nel tentativo di fuggire da Creta. L’isola era conosciuta dagli antichi anche col nome di Doliche. Oltre ad essere una delle più belle isole della Grecia, è conosciuta per il mare tra i più puliti del pianeta, per le sorgenti termali dalle proprietà curative e per la longevità dei suoi abitanti. L’isola è inserita nel programma mondiale Blue Zone, che identifica e studia quelle aree del pianeta conosciute per la forte presenza di centenari e ultracentenari (una persona su tre supera 90 anni). Risulta essere bassissima, in proporzione al numerto degli abitanti, l’insorgenza di malattie come cancro, demenza senile e patologie di origine cardiovascolare. Sembra che il motivo si nasconda nello stile di vita alimentare; prodotti della terra, vegetali, frutta, olio di oliva, vino, e il famoso tè locale, l’Ikarian Tea, dalle proprietà depurative e antiossidanti.

Il vino di Ikarìa, il “Pramneios Oinos” dell’antichità, nasce dalla mitologia ed è collegato con le avventure e il culto di Dioniso sull’isola. I reperti archeologici e i toponimi in molte parti dell’isola hanno la loro origine in un rituale dionisiaco.

Omero ci dice che gli eroi dell’Iliade ricevevano il potere magico del vino quando si preparavano per la battaglia, e rafforzavano la loro furia militare bevendo il “Kykeonas”, cioè il vino Pramneion mescolato con formaggio fresco e farina di orzo.

Il vino di Ikaria, prodotto da una ricetta che si perde nella notte dei tempi, è stato salvato e mantenuto in anfore interrate e porta fino ai nostri giorni la sua identità, la sua fisionomia particolare.

Nikos Afianès porta avanti quella tradizione e la sua Tenuta collabora con il gruppo di ricerca enologica dell’università di Atene.

Le anfore vengono costruite da un artigiano nell’isola di Sifnos che porta il suo destino nel cognome; infatti si chiama Nikos Stafylopatis (Nikos Pestauva).

“Pithostàssi” (anforaia) all’aperto. Spesso le anfore venivano messe in fila sotto l’ombra degli alberi su un gradone (terrazza) detto “skiaderò” (ombroso). Venivano (vengono) usate piastre circolari che sigillavano l’apertura delle anfore, con l’aiuto di fango e cenere, per proteggere il vino che veniva prelevato mediante “sifùnisma” (aspirazione) da un piccolo foro al centro del coperchio. Questa operazione si faceva con il “sifùni”, una specie di matraccio creato con una zucca vuota. Le anforaie esterne spesso comprendevano il “petalo”, un imbuto a forma di ferro di cavallo (petalo) che faceva scorrere il mosto in un’anfora e da quella si trasferiva alle altre.

 

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